Matteo Piloni/ Gennaio 7, 2020/ Comunicati stampa/ 0 comments

Nel mese di novembre il Consiglio Regionale della Lombardia ha approvato la l.r. 18/2019 “Misure di semplificazione e incentivazione per la rigenerazione urbana e territoriale, nonché per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Modifiche e integrazioni alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) e ad altre leggi regionali” che già nel titolo contiene le ragioni per le quali come gruppo consiliare del Partito Democratico ci siamo battuti per modificare il testo nei suoi fondamenti, prima in commissione Territorio e poi in Aula consiliare.
Riteniamo innanzitutto che una vera azione di rigenerazione non possa prescindere dalle aree dismesse che invece in questa legge occupano un posto di secondo piano rispetto ad azioni di “ristrutturazione edilizia” che, seppur importanti, non possono essere sufficienti ad affrontare le grandi questioni relative alla rigenerazione urbana. La legge approvata non è che una fusione approssimativa di due progetti di legge – uno di Forza Italia e l’altro della Lega – e non si occupa, come ci aspetterebbe, né di aree dismesse né di bonifiche, ma affronta il tema della rigenerazione in maniera superficiale, senza considerare i nodi cruciali della gestione di un territorio come quello lombardo che ha già consumato quantità abnormi di suolo e che avrebbe potuto, e dovuto, trovare uno sprone, recuperando l’esistente e le numerose aree dismesse della nostra regione.
In secondo luogo, riteniamo non più rimandabile una revisione organica della legge regionale 12/2005, la famosa legge per il governo del territorio, che ormai ha 14 anni e che è stata oggetto di centinaia di modifiche. Revisione che la Giunta regionale dovrebbe avviare entro il 2020, stando alle disposizioni di un nostro ordine del giorno che il Consiglio regionale ha approvato all’unanimità. Un passaggio che secondo noi la Regione dovrebbe affrontare con determinazione e ambizione, mettendo al centro delle sue politiche il ruolo della pianificazione in un’ottica di area vasta, tenendo conto delle differenze dei nostri territori e di un vero contrasto al consumo di suolo. Questioni che possono essere affrontate grazie a una puntuale elaborazione dei reali fabbisogni dei nostri territori da qui agli anni a venire, ma anche grazie a significativi contributi ed agevolazioni economiche regionali che puntano ad una vera semplificazione procedurale, sia per l’ente locale sia per l’operatore.
Dopo queste doverose premesse, analizziamo in breve i contenuti salienti di questa legge regionale e i punti di maggiore problematicità.
La prima considerazione: si tratta di una legge che si limita, di fatto, a introdurre sconti fino al 60% sugli oneri di urbanizzazione e premi volumetrici del 20% per chi recupera immobili abbandonati, senza tracciare nemmeno un’idea di trasformazione ragionata e omogenea del dismesso e del costruito, delle funzioni da recuperare e del ruolo dell’intervento pubblico. Le premialità volumetriche appaiono essere l’unica proposta per innescare il processo di rigenerazione e di sostituzione edilizia, mentre invece sappiamo che nella stragrande maggioranza del territorio lombardo il problema è semmai l’eccesso di offerta volumetrica. Questa legge, che sembra non considerare che in Lombardia ci sono più di 3000 aree dismesse e più di 900 siti da bonificare, non discrimina tra aree di pregio e aree degradate e finanzia, con due milioni di euro in due anni, limitati lavori di demolizione, senza prevedere un solo euro per le bonifiche. Le risorse regionali per gli interventi sono assolutamente insufficienti e senza una leva finanziaria la legge rischia di rimanere una norma di ‘buone’ intenzioni, ma che interverrà solo laddove già il mercato ha interesse ad agire e quasi esclusivamente sulla demolizione degli edifici e non sul recupero delle aree.
La seconda considerazione: una legge scritta talmente male che, come spesso accade con le leggi di governo del territorio in Lombardia, ha addirittura corso il forte rischio di mettere a repentaglio il patrimonio rurale ancora presente nelle nostre province. Almeno su questo aspetto, per quanto riguarda le cascine agricole, l’azione emendativa del gruppo del PD è riuscita ad ottenere qualche correzione importante. Abbiamo messo un freno alla trasformazione delle cascine verso destinazioni che nulla hanno a che fare con l’agricoltura, limitando le premialità agli immobili già dismessi all’entrata in vigore della legge ed evitando le interferenze con le attività agricole. La scelta di intervenire sugli edifici rurali dismessi o abbandonati senza una normativa di dettaglio non sembra proprio la migliore ricetta per il rilancio delle zone a vocazione agricola.
La terza considerazione: la scelta di affrontare un tema tanto complesso con strumenti verticistici e accentratori non ci ha trovato per nulla d’accordo, soprattutto perché la modulazione degli interventi deve avvenire sulla scala dell’ente locale di prossimità offrendo nella legge regionale un ventaglio di possibilità a cui potere accedere. Il tentativo di neocentralismo regionale ha cercato invece di imporre ai comuni il ‘peso’ finanziario della legge, togliendo oneri e imponendo premialità volumetriche sul costruito tout court. Un tentativo riuscito solo in parte, poiché, grazie ai nostri emendamenti in aula consiliare, siamo riusciti a restituire ai comuni la possibilità di decidere la quantità di premialità, sia per i volumi sia per gli oneri, al contrario di quanto disponeva la legge nella sua formulazione originaria.
Per gli interventi sul patrimonio edilizio esistente i comuni possono quindi modulare, a seguito di criteri definiti dalla Giunta regionale, gli incrementi dell’indice di edificabilità massimo dei PGT, se perseguono finalità individuate in legge. Inoltre, sempre grazie ad alcuni nostri emendamenti, viene maggiorato da un minimo dell’80 ad un massimo del 100 per cento il costo del contributo di costruzione per gli interventi che consumano suolo agricolo allo stato di fatto e che non sono ricompresi nel tessuto urbano consolidato e viene maggiorato del 50 per cento il costo del contributo di costruzione per gli interventi che consumano suolo agricolo nello stato di fatto all’interno del tessuto urbano consolidato.
Il territorio lombardo, noi crediamo, presenta caratteristiche geomorfologiche, economiche ed insediative molto differenti tra loro ed era necessario riuscire a rendere esplicite nel testo le differenti modalità di sostegno ed intervento per attuare i processi di rigenerazione.
“Milano non è la Lombardia, la campagna non è la città e la pianura non è la montagna” abbiamo ripetuto più volte alla maggioranza e all’assessore Foroni, ma quello che ci è sembrato evidente fin da subito è che la volontà del centrodestra era di approvare una legge quelle que soit senza preoccuparsi di dare strumenti di interventi ai territori, senza intervenire sulle aree a domanda debole che pure sono costellate di aree da rigenerare ma poco “appetibili” per il mercato facendo venire meno la regia pubblica, se non in un quadro di passiva accettazione dell’esistente.

La rigenerazione, a nostro avviso, andava fatta dando in mano ai comuni strumenti per incentivare proprietari e costruttori laddove effettivamente serve. Con questa legge, invece, verranno legate le mani ai comuni sul governo dell’urbanistica, perché non potranno efficacemente incidere sulle aree che sono davvero da rigenerare, mentre vedranno crescere le volumetrie nelle aree già sane dove sono più alti i prezzi di mercato. Non solo, i comuni vedranno diminuire in modo indiscriminato gli introiti da oneri di urbanizzazione, con l’effetto secondario che saranno indotti ad alzarli. Oltretutto, potranno escludere alcune aree dagli effetti della legge, esponendosi però a prevedibilissimi ricorsi da parte di chi ritenesse di essere stato escluso con motivazioni varie. Questo genererà facilmente conflitti tra cittadini, amministrazioni e operatori e causerà maggiori complicazioni per tutti. Effetti che, crediamo, nessuna legge di buon senso dovrebbe produrre.

In definitiva, la Lombardia ha perso un’occasione importante per essere all’avanguardia nella gestione del territorio, non riuscendo a fare coincidere l’interesse pubblico con quello degli operatori privati, rinunciando a ragionare con lungimiranza sul ruolo degli enti locali e senza prevedere le leve finanziarie necessarie per riuscire a passare dai titoli delle leggi a interventi di ricucitura e rilancio del tessuto economico e sociale dei territori lombardi.

Matteo Piloni
Consigliere regionale Pd

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